Il Freisa della Regina compie 500 anni e festeggia con una vendemmia da record
Pubblicato su La Stampa il
Venticinque minuti, per decidere di restituire ai torinesi un pezzo di storia. Luca Balbiano (nella foto), oggi presidente del Consorzio delle doc Freisa di Chieri e Collina Torinese, li ricorda (e li racconta) tutti, minuto per minuto, tra i filari con vista Mole Antonelliana, in un pomeriggio di metà settembre, reduce dalla migliore vendemmia della (ri)nata Vigna Villa della Regina che da 10 anni, ormai, è nelle sue mani: «Ero con mio padre, andammo in collina per visionare il terreno, la Soprintendenza aveva avviato il restauro della dimora sabauda e a noi avevano proposto di reimpiantare l’antico vigneto reale per poi gestirlo. Trovammo una selva impraticabile, dell’antica vigna erano rimasti scheletri di tralci e andammo via, delusi, convinti a rinunciare a quell’impresa folle, “lasciamo stare” ripetevamo tornando a Chieri, nella nostra cantina». Un viaggio di 25 minuti, scollinando, con turning point: «Quando arrivammo avevamo cambiato idea». Luca dice che a convincerlo è stato «il romanticismo»: «Volevo che Torino riavesse la sua vigna, non solo la sua dimora sabauda, ma qualcosa di vivo, come il vino».
Ha vinto lui. Dopo mesi di ricerche sui cloni, con l’aiuto di Anna Schneider, la più grande ampelografa italiana, e dopo il faticoso disboscamento e la risagomatura del terreno, «abbiamo piantato 2700 barbatelle». Freisa, lo stesso di un tempo. Un vino autoctono, diffuso nel torinese, tipicamente acidulo. Discendente del Nebbiolo, ha appena compiuto 500 anni: la prima traccia è una bolla doganale di Pancalieri del 1517. Un compleanno in mondovisione: se n’è interessata anche la Bbc e il Fine Art Photography Award ha premiato, a Londra, l’opera di Patrizia Piga, dedicata proprio al Freisa. «Ora stiamo avendo richieste anche dagli Usa», conferma Balbiano, che nella «sua» Villa ha anche un 2% di vitigni rari, grisa roussa, cari, balaran, neretto.
La prima vendemmia è del 2009: vino rosso Villa della Regina, si chiamava. Poi è arrivata la doc (2011) e la menzione «Vigna». Quasi un ettaro, e una produzione di 4,5 mila bottiglie, numerate. La migliore annata? Questa, il 2017 (che troveremo in tavola nel 2020), in controtendenza con l’andamento nazionale. Merito della posizione: «Il caldo fa bene all’uva e la città aiuta: ci sono sempre 3 o 4 gradi in più, che la proteggono d’inverno». Zero inquinamento: «I metalli pesanti restano in basso, l’aria è salubre». Quest’anno il raccolto è stato del 100%, la maturazione precoce e perfetta: «Abbiamo finito di vendemmiare ad agosto, mai capitato».
Anno da record per un vitigno da record: «È l’unico metropolitano d’Italia». Ed è all’interno di un network di vigneti storici urbani, che comprende anche il Clos Montmartre di Parigi e il Castello di Schönbrunn a Vienna. E presto la famiglia potrebbe aggiungere un’altra chicca, tutta italiana, annuncia Balbiano: il vitigno archeologico di Pompei.